Lo Stato

Non hai bisogno di un passaporto per entrarvi. Basta poco. L’unica cosa di cui hai bisogno per farne parte è te stesso. 
Forse, però, non è così facile avere quel poco.
Lo Stato è un posto fisso, ma è privo di coordinate. Ha delle regole, ma non una legislatura. Tutti vi possono accedere, eppure non ha abitanti, solo viaggiatori e passanti. Nessuno lo governa; non c’è nessuno da governare, in realtà. Non ha una lingua ufficiale; non si parla molto, là; frammenti di ricordi, parole importanti. 
Nello Stato diamo più importanza ai momenti di silenzio, o ai sorrisi complici, insomma, frangenti di connessione. Le parole aiutano a raccontarlo, ma descriverlo non sarà mai come entrarci. Come viverlo.
Ci arrivi stando in mezzo a un campo sotto un cielo carico di di pioggia; nel momento in cui ti togli le scarpe ad una festa per potere ballare ancora più forte e privarti del dolore (non solo quello ai piedi) ancora per un po’; quando d notte viaggi nel silenzio che ha assopito chiunque altro mentre tu guardi fuori con la musica, magari proprio quel disco, nelle orecchie.
È quell’istante di statica, di deja-vu, di anticipazione e stanchezza tutto insieme. Quando perdi definitivamente la speranza e cedi alla rassegnazione o quel minuto in cui la ritrovi, finalmente. È la calma prima della tempesta, e tu sai che lo è. Lo Stato rilascia quell’effetto di strana, consapevole temperanza. 
Non puoi definirlo uno stato mentale, non se lo percepisci con ogni cifra del tuo essere, non se te lo senti fino nelle interiora.
Pensaci. Pensa a quelle ultime parole così insignificanti eppure così pesanti che ti sono scese giù nello stomaco a peso morto, come se fossero fatte di un piombo che ha tirato giù ogni altro tuo organo.
E se stai pensando ad un momento in particolare, ecco, sei già là. Sei ancora là. È uno Stato di memoria, anche. Risiede dentro di te, anche quando credi di non esistere più, di non contare più niente.
In fondo, se non esiste una cittadinanza non può essere revocata.
Finché sei il protagonista dei tuoi ricordi, delle tue emozioni, sei vivo. Esisti, ed esisti per provare ancora e ancora.
Lo Stato, infatti, è una garanzia di vita (“Congratulazioni, sei ancora tra noi!”).
Nello Stato trovi qualsiasi condizione di suono, silenzio, musica, fracasso, lingue tutte diverse e mischiate tra loro. È un po’ il ri-assemblaggio della colonna sonora della tua vita; quelli che poi diventano ricordi non sono film muti. 
Sono film con inquadrature perfette e impossibili da immortalare; le sensazioni, i brividi di trepidazione, la calda tristezza del magone, la pace nell’animo non compaiono su cellulosa. Digitale o analogico, termini un rullino, o un nastro o finisci lo spazio- nella tua testa, nel tuo petto non succede. Non smetti di ricordare, di sentire. Puoi vivere ogni volta che lo vuoi, eppure sempre solo una volta.
Poi però un giorno non i svegli e il rullino si sovraespone, il nastro viene tagliato, la cellulosa brucia e il digitale semplicemente scompare nel vuoto. Caput baby. Lo Stato ha pure i suoi limiti e la fine non la decidi tu, purtroppo. O per fortuna.
E ora, dopo che ti ho illustrato questo mondo, che in realtà già conoscevi, so che c’è una domanda lasciata in sospeso, che ti solletica la nuca… “E che c’entrano le margherite, in tutto ciò?”
Cosa c’entrano le margherite?


È davvero un’ottima domanda.



-Maria Federica

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