Riflessioni

Oh, will wonders ever cease?
Blessed be the mystery of love


Il processo creativo è uno dei misteri dell’umanità: accade con dinamiche diverse per ognuno, in maniera diversa ogni volta. 
Può essere studiato, stimolato, incrementato; può accadere in ogni circostanza e scaturire dalla minima cosa. 
Un libro, una fotografia. 
Mentre si perde un aereo o mentre si attende che la campanella ponga fine alla lezione. In una folla di persone o dentro una biblioteca silenziosa. 
O in una rumorosa, proprio come quella in cui mi trovo adesso, in cocente attesa che la Musa muova la mia mano a tracciare frasi di senso compiuto su un foglio.
Tuttavia non può funzionare così: più si cerca l’ispirazione, più lei si terrà lontana. O, quantomeno, è quello che mi è sempre parso succedere a me. 
Mi metto al quaderno, fisso il foglio bianco, conto le righe che devo riempire e penso alla miriade di cretinate di cui posso infarcirle, facendo leva sulla coscienza o sui sentimenti, a seconda di come mi sento.
E mi sento ridicola, come se stessi sprecando il mio dono, perché so che posso fare bene, che posso fare meglio di come mi aspetto se solo non penso affatto a quello che devo fare, e soprattutto se non penso che devo fare meglio di qualcuno, me stessa inclusa.
Con tutte le implicazioni del caso, scrivere è un lavoro che funziona solo se ci si dimentica che è un lavoro, che non si può programmare a tavolino (o meglio, certo che si può, ma o il lettore se ne accorge, e il lettore è sacro, o semplicemente non ci si gode l’esperienza, e si deve sempre godere della propria scrittura). 
Funziona così, o, anzi, non funziona così, perché non c’è una ricetta, una guida: tutte le opere famose scritte giusto per esercizio stilistico sono quelle note per annoiare il lettore; e, siccome lo scrittore è un lettore, dopotutto, è necessario che si pensi a chi legge e a come si sentirà, piuttosto che al perché

La scrittura, è questo il bello, è fine a se stessa.




-Maria Federica

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