Portami in Bolivia per cambiare testa

Spegnerò il telefono
Sarò libera, indipendente
Mamma no, non ho bisogno di niente...

Avete presente la sensazione di non sentirvi a casa nemmeno a casa vostra? Di non riuscire a trovare il vostro posto nel mondo?
Somiglia vagamente a quando vi sedete su una sedia scomoda per assistere ad una conferenza noiosa: è una condizione estenuante, ma siete consolati dal fatto che finirà presto e potrete tornare a respirare una volta usciti.
Io convivo con questa sensazione da quando sono nata- la convinzione che niente di quello che sto vivendo sia permanente, che un giorno la vita cambierà, che dovrò volare via per assicurarmi un futuro lontano da dove sono cresciuta, come se la cosa non fosse dolorosa ma solo atta a procurarmi un tenore di vita migliore- e posso dire che non lo augurerei a nessuno. Nascere in una città priva di prospettive, priva di attenzione per l'arte, priva di delicatezza o mezze misure (a me è sempre parsa un po' priva di vita, a volere essere sincera) a cosa porta? Come cresce un individuo? A cosa si aggrappa, a cosa si appassiona? Che persona diventa?
Ma soprattutto: diventa una persona?
Mi piange un po' il cuore se penso ai miei genitori, che mi hanno dato tutto in un posto in cui non c'era niente con la speranza del senno di poi, e capisco che questo non era quello che volevano, né per me né per loro.
Dunque ho passato gli ultimi diciassette anni della mia esistenza a cercare una via d'uscita da tutto il grigiume dell'ignoranza che mi circondava, e l'ho fatto viaggiando con il corpo e con la mente, per scappare da una verità che mi è sempre (più) troppo stretta. Ho ringraziato ogni divinità, anche quelle a cui non credo, per avermi dato le possibilità di vedere una piccola porzione di mondo, per venire a contatto con abitudini diverse. Ho pregato per potere uscire dal carcere, per potere finalmente essere me stessa in luoghi che di me non avevano niente.
Vi dirò, cari lettori, che con il tempo ho capito che mi sento a casa solo se non sono a casa mia.
E questo è per tutti coloro che dicono che sogno troppo ad occhi aperti, mi concentro poco sul reale e dovrei essere un po' più concreta: devo sempre, in qualunque modo, essere lontana da dove vivo per essere viva. 
Mi hanno sempre detto di non pensare ad un futuro nella mia terra, perché la mia terra è arida di tolleranza e non permette di mettere radici. Ma allora cosa sono le mie? Le mie radici, deboli, blande, ogni qualvolta minaccio di strapparle mi sanguinano addosso- ed io non so se sarò mai capace di metterne altre altrove.
Sarò sempre un'anima nomade? Pronta a catturare ogni istante di un viaggio, perché so che mi dovrà bastare, ad assorbire ogni goccia di linfa vitale vissuta altrove?
E' pensandola così che passa per la testa l'idea di fare una pazzia, di scappare (sul serio) con bagagli di fortuna e un biglietto di sola andata per l'altra parte del globo; ebbene, fatevi dare due consigli da un'esperta della problematica:
(tranquilli, ora vi spiego)
  1. Non fatelo mai. Non pensate che andare a vivere in un posto lontano risolverà i vostri problemi in un colpo di bacchetta. Ogni mondo è paese, ogni luogo ha i suoi trascorsi, ogni trasferimento va programmato, altrimenti le cose andranno peggio, se possibile.
  2. Fatelo sempre. Siate indulgenti con voi stessi. Concedetevi una tregua, un armistizio, un trattato di pace duratura. Se avete bisogno di andare via andate, ma non fate sciocchezze o stupidaggini avventate. Ascoltatevi. Tutti vi sentono, ma per ascoltarsi ci vuole tempo, saggezza e orecchio.
Una canzone tratta da un album che mi è entrato nel cuore (2640 di Francesca Michielin- chissà, potrebbe uscirci una recensione...), Bolivia, parla di questa sensazione di disagio perenne, di instabilità costante. L'autrice credeva che la sua carriera fosse finita e meditava di scappare in Colombia- poi ci ha riflettuto su ed è rimasta in Italia, producendo questo disco bellissimo e risollevando le sue sorti. Ammetto che mi ha fatto bene sentirmi capita: mi ha lenito le ferite, nel senso più sincero dell'espressione. Dall'altro lato, però, ho imparato una mezza lezione: a volte bisogna restare. A volte mettere radici è necessario (ed è necessario il dolore che provoca strapparle per doverle mettere altrove: permette di crescere) e per viaggiare basta poco, solo un po' d'immaginazione.
Ho pensato che potesse essere interessante montare alcuni momenti del mio ultimo viaggio in Toscana proprio su questa canzone che dà titolo al post... 

(per quanto riguarda Firenze, la Diesse e i Colloqui Fiorentini... quella è un'altra storia!)

Ho fatto un viaggio dentro una stanza...




Sayonara!
-Maria Federica

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