Come sotto un temporale

E ci sarà un ballo delle incertezze
Ci sarà un posto in cui perdo tutto


Qui giacciono le macerie della battaglia contro me stessa.
Ho strappato via le tende dalle finestre della mia stanza perché volevo la luce e vedere il paesaggio, o forse volevo che che il paesaggio vedesse me.
Esse giacciono per terra con cura scomposta, a ricordarmi della mia furia tanto fulminante quanto rara e della mia inesorabile tristezza, onnipresente nella mia vita da quando ho memoria, da quando notai che ogni mio gesto poteva venire frainteso, stravolto o non capito affatto.
I vetri mi guardano mentre piango lacrime facendo sberleffo al tempo nuvoloso cui ho rubato la pioggia. Vedo tutto dalla piccola prigione in cui mi sono segregata, vedo tutto come in una palla di neve natalizia; peccato che, a dispetto del meteo infelice, sia ormai giunto maggio e che il Natale abbia smesso di donarmi un minimo di calore umano da troppi anni.
Tutti mi odiano, senza sapere o immaginare che io detesti me stessa in una maniera talmente assoluta e tossica che non è possibile per nessun altro al mondo avermi in odio in questa modalità. Tutti mi provocano, tutti mi giudicano, mi caricano con il peso delle loro aspettative solo perché io glielo lascio fare, e, senza nemmeno rendersi conto delle conseguenze e degli effetti collaterali, si sorprendono quando perdo il controllo. Si arrabbiano se difendo me stessa, in quelle rare volte in cui non mi maltratto e provo il malsano desiderio di tutelarmi.
Forse lo scopo della vita è uno soltanto: fare felici gli altri passando sopra ai propri sentimenti con una pialla, così da divenire uguali alla massa. Se io fossi uguale a tutti gli altri, se mi piacessero i vestiti che vanno di moda, se ascoltassi la trap, se mi mettessi con il primo che mi capita, allora accontentarmi sarebbe più facile. Allora forse non starei seduta qui a scrivere con uno stuolo di fazzoletti alle mie spalle, il quaderno aperto e macchiato dai miei peccati e poggiato sui libri di italiano,  le tende inermi ai miei piedi, un principio di temporale fuori e un temporale in corso dentro al mio sterno sterile di autocompassione.
Non va mai bene niente ma devo avere autostima, non va mai bene niente ma devo studiare matematica, non va mai bene niente e se mi vado bene io allora devo prostrarmi dinnanzi al Signore Onnipotente e chiedere scusa perché sto peccando di felicità.
Io mi chiedo cosa significhi il fatto che non ho il diritto di soffrire- secondo quale comandamento non mi merito di diluire l'inchiostro della stilografica con la mia grandine personale.
Vado in frantumi e perdo i pezzi lungo la via e mi chiedo se qualcuno mai si prenderà la briga di ricompormi; sventro i miei principi per permettermi di sgretolarmi, intanto che il vento infuria e la luce viene meno, e tanto varrebbe rimettere le tende.
Tanto, in ogni caso, con questa tempesta stanotte non si vedrebbero le stelle.


Oggi solo
-Mari

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